[:it]Siamo in uno studio di architettura. Sul tavolo di fronte a noi abbiamo plichi di fogli sparsi: alcuni render, dei campioni di materiale, innumerevoli planimetrie, progetti tecnici e appunti vari. Stiamo cercando di spiegare come un edificio fatiscente si trasformerà in un appartamento moderno e confortevole. Negli occhi del nostro cliente possiamo vedere lo sforzo immaginativo: là dove ci sono solo dei calcinacci e del terriccio ci sarà la cucina dei suoi sogni. Dietro quel muro pieno di infiltrazioni apparirà un bagno. Lo sforzo immaginativo è palese: riunire nella propria mente quelle linee, quei disegni, quei colori per cercare di rendere tangibile quello che in futuro diventerà la sua casa. Cerchiamo di far capire quanto spazio ci sarà, come dal niente appariranno soppalchi e pavimenti. Cerchiamo di guidare il clienti in un processo di ricostruzione mentale quasi fideistico: guardare oltre l’apparenza per vedere il futuro. Se nella testa dell’architetto l’immagine è limpida in ogni suo aspetto lo stesso non si può dire di chi, senza gli stessi strumenti professionali ed esperienza, prova a immaginarla.
E’ questa situazione forse, che più di ogni altra, rende efficacemente l’idea del perché la realtà virtuale sembra la soluzione costruita appositamente per l’architettura. Non è così ovviamente, eppure è uno dei campi più fertili dove la convergenza di intenti appare cristallina. Indossare un visore e vedere davanti ai propri occhi un mondo ancora inesistente, così immersivo da sembrare reale, così tangibile che sembra di poterlo afferrare (e in effetti si può) e farlo proprio usando le proprie mani.
AmbiensVR parte da questa visione e la trasforma in realtà grazie a una sfida tecnologica che deve affrontare innumerevoli ostacoli. Primo su tutto la tecnologia stessa: la realtà virtuale appare ancora agli occhi dei più come qualcosa uscita direttamente da una serie tv. Eppure è qui, con il suo fascino avveniristico e con le ovvie difficoltà di sviluppo date dalla giovane età. Lavorare con la realtà virtuale vuol dire imparare ogni giorno a inventare nuove soluzioni e abbandonare quelle che fino a pochi giorni prima sembravano assodate. La normale mancanza di uno standard rende ogni operazione un salto nel buio. Sperimentare più che fare. Creare più che implementare. Come sempre all’albore di una nuova tecnologia questa è la fase più critica e la più affascinante. E’ quella del dialogo costante tra produttori e sviluppatori, che affrontano quotidianamente la sfida di scoprire la “formula” esatta per renderla alla portata di tutti. E per affrontare una sfida di questo genere serve fede. Serve credere nelle potenzialità di qualcosa che è ancora grezzo, imperfetto. Come un diamante che ha ancora bisogno di lavoro per essere smussato e lavorato. Bisogna credere fortemente nelle proprie idee per guardare oltre e pensare a come, nel corso di pochi anni, tutto il settore tecnologico potrebbe cambiare radicalmente faccia grazie ad una esperienza che non ha eguali nella sua storia.
E questa moderna fede ha trovato vari proseliti. A essa crede l’entertainment che investe sempre di più in prodotti “Vr Only” capaci di minare le fondamenta base del gaming come le conosciamo. Ci crede perfino Facebook che ha investito innumerevoli fondi per acquistare uno degli alfieri principali di questo palcoscenico, Oculus Rift. Ci crede soprattutto il mercato che guarda alle potenzialità di questo prodotto capace di rivoluzionare le sue dinamiche fondanti così come le conosciamo oggi.
Ci crede Ambiens che ha cercato fin dall’inizio di essere in prima linea in questa frontiera pionieristica. Quello delle “presentazioni virtuali interattive” non è un obiettivo finale. E’ una porta di ingresso che bisogna ancora varcare, che ogni giorno offre uno scorcio più chiaro di quello che potrebbe diventare una volta aperta. Bisogna ancora spingerla quella porta. Bisogna ancora capire cosa la blocca. Bisogna capire come arrivare a spalancarla del tutto per vedere cosa si cela dietro di essa. Ed è questo quello in cui crediamo e che ogni giorno ci porta a indossare il visore sulla testa per cercare di attraversarla. Perché abbiamo potuto sbirciare dietro di essa, e abbiamo visto un futuro eccitante e meraviglioso. Un futuro in grado di cambiare il mondo come lo conosciamo, un futuro a cui vogliamo contribuire attivamente per far si che diventi, per tutti, il presente.
Mauro Ferrante[:]